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Durante l'età antica, i maggiori progressi in tutte le arti e le tecniche si ebbero in epoca romana, quando si ebbe la diffusione tra lo spirito speculativo astratto del mondo greco ed il senso pratico tipico dei romani.
Anche la metallurgia, pertanto conobbe un notevole sviluppo, sia sul piano tecnico-scientifico sia su quello economico-organizzativo.
I principali metalli usati erano il ferro, il bronzo, ed il piombo, ma notevole diffusione avevano anche l'ottone ed i metalli preziosi.
Il bronzo era largamente usato per la realizzazione d'oggetti domestici di lusso, quali forzieri, sedie, sgabelli, tavoli, letti triclinari, vasellame, caldaie, bracieri, lucerne e candelabri e grandi statue. Anche i rubinetti dell'epoca erano realizzati con questa preziosa lega.
Il primo acquedotto romano fu quello dell'Aqua Appia, costruito intorno al 300 a.C.; seguirono l'Anio Vetus, l'Aqua Marcia, l'Aqua Giulia, l'Aqua Adriana.
Questi acquedotti adducevano l'acqua ai diversi serbatoi principali, distribuiti nei vari punti della città, che venivano chiamati Castelli d'Acqua (castellum). Da questi castelli per mezzo di tubazioni in piombo, l'acqua veniva distribuita alle fontane pubbliche, ai bagni ed in misura minore alle abitazioni private.
Per tutto il periodo della repubblica, 509 a. C. fino al 27 a.C., anno in cui assume il potere l'Imperatore Cesare Ottaviano Augusto, gli acquedotti romani non soddisfacevano tutte le richieste degli utenti. Questo anche perché il sistema di distribuzione non era perfetto e l'acqua scorreva continuamente, con conseguente spreco, inoltre erano frequenti le perdite con inevitabili gocciolamenti, tutto questo indusse le autorità competenti a concedere a privati l'utilizzo dei punti di perdita.
Per il controllo ed il buon funzionamento degli acquedotti fu nominato un Curator. Tra di essi ricordiamo Frontino nato nel 40 d.C: e morto nel 103. Dai controlli di Frontino, le eccedenze d'erogazione, che prima venivano disperse, furono impiegate per nuove fontane e nuove concessioni private. A partire da quest'accurato regime d'economia, è certo che i romani impiegarono un maggior numero di rubinetti nella loro rete idrica urbana, e persino le fontane pubbliche dovevano avere, come dimostrerebbe qualche basso rilievo d'epoca repubblicana.
Anche sotto l'impero di Caracalla si ebbero miglioramenti dell'acquedotto romano (212 d.C.).
Durante le invasioni barbariche, gli acquedotti romani decaddero gravemente, ed in questo periodo vi fu il massimo deterioramento ed abbandono di un'opera così importante ed utile per la comunità del mondo antico.
Le condutture di questi acquedotti avevano una tale perfezione tecnica che ancora oggi sono in grado di funzionare. Dal punto di vista costruttivo le tubazioni venivano incassate dentro apposita sede detta specus. Si trattava di un lungo canale a sezione quadrata, scavato nella roccia, ove il terreno lo consentiva, oppure costruito in muratura. Le tubazioni impiegate erano solitamente costruite in terracotta, materiale più usato per ragioni pratiche ed utilitarie. Vitruvio preferiva i tubi in terracotta perché, scriveva, sono i più economici, possono essere riparati con facilità, e l'acqua trasportata è molto più salutare di quella passante per i tubi di piombo.Quasi sempre le tubazioni portano impresso un marchio che può corrispondere sia al nome del proprietario sia a quello dell'idraulico sia effettua l'impianto; a volte figura il nome dell'imperatore.
Siccome ignoravano la tecnica della trafilatura, i plumbari partivano da lamine lunghe secondo la misura stabilita, che arrotondavano attorno ad un'anima di legno di forma cilindrica. Alle estremità, dove risultavano i giunti longitudinali, colavano piombo fuso o una lega di piombo e stagno. Per controllare meglio le tensioni ogni cinque chilometri si faceva sfociare l'impianto in un serbatoio praticabile ove era possibile controllare le pressioni.
Per gli allacciamenti s'interponeva nella conduttura principale una scatola di derivazione, fatta di piombo, da dove, in direzione perpendicolare alla condotta madre, si dipartivano da un lato e dall'altro due tubi di derivazione di calibro inferiore, questo per avere più servizi in un solo punto di presa. Ognuno di questi tubi di derivazione erano provvisti di valvola d'arresto. Questi rubinetti erano a maschio cilindrico e si azionava per mezzo di un grosso chiodo o un tondino di ferro, da infilare a modo di chiave dentro un foro predisposto nella testa del maschio. L'uso di valvole e rubinetti applicati alla rete idrica diveniva sempre più importante per ridurre lo spreco d'acqua, questo sostenuto anche a livello politico.
Uccelli ricorda alcuni tipi di saracinesche in uso presso i romani.
I rubinetti romani in genere erano a maschio cilindrico, raramente conico, forse per difficoltà d'esecuzione. Il corpo ed il maschio venivano costruiti per fusione, quest'ultimo in un unico blocco con testa prismatica. Il corpo era un cilindro cavo con gli estremi allargati all'esterno, come una sorta di flangia ricurva. Le guarnizioni erano in genere di semplice stoppa o di cuoio, questo causava una maggiore difficoltà nell'aprire o chiudere il sistema. Nelle giunzioni non esistevano filettature, nonostante i romani n'erano a conoscenza. L'installazione si otteneva introducendo le bocche del rubinetto dentro il manicotto dei tubi e saldando in giro una fascia abbondante di piombo che assicurava la tenuta.
Le condutture di questi acquedotti avevano una tale perfezione tecnica che ancora oggi sono in grado di funzionare. Dal punto di vista costruttivo le tubazioni venivano incassate dentro apposita sede detta specus. Si trattava di un lungo canale a sezione quadrata, scavato nella roccia, ove il terreno lo consentiva, oppure costruito in muratura. Le tubazioni impiegate erano solitamente costruite in terracotta, materiale più usato per ragioni pratiche ed utilitarie. Vitruvio preferiva i tubi in terracotta perché, scriveva, sono i più economici, possono essere riparati con facilità, e l'acqua trasportata è molto più salutare di quella passante per i tubi di piombo.Quasi sempre le tubazioni portano impresso un marchio che può corrispondere sia al nome del proprietario sia a quello dell'idraulico sia effettua l'impianto; a volte figura il nome dell'imperatore.
Siccome ignoravano la tecnica della trafilatura, i plumbari partivano da lamine lunghe secondo la misura stabilita, che arrotondavano attorno ad un'anima di legno di forma cilindrica. Alle estremità, dove risultavano i giunti longitudinali, colavano piombo fuso o una lega di piombo e stagno. Per controllare meglio le tensioni ogni cinque chilometri si faceva sfociare l'impianto in un serbatoio praticabile ove era possibile controllare le pressioni.
Per gli allacciamenti s'interponeva nella conduttura principale una scatola di derivazione, fatta di piombo, da dove, in direzione perpendicolare alla condotta madre, si dipartivano da un lato e dall'altro due tubi di derivazione di calibro inferiore, questo per avere più servizi in un solo punto di presa. Ognuno di questi tubi di derivazione erano provvisti di valvola d'arresto. Questi rubinetti erano a maschio cilindrico e si azionava per mezzo di un grosso chiodo o un tondino di ferro, da infilare a modo di chiave dentro un foro predisposto nella testa del maschio. L'uso di valvole e rubinetti applicati alla rete idrica diveniva sempre più importante per ridurre lo spreco d'acqua, questo sostenuto anche a livello politico.
Uccelli ricorda alcuni tipi di saracinesche in uso presso i romani.
I rubinetti romani in genere erano a maschio cilindrico, raramente conico, forse per difficoltà d'esecuzione. Il corpo ed il maschio venivano costruiti per fusione, quest'ultimo in un unico blocco con testa prismatica. Il corpo era un cilindro cavo con gli estremi allargati all'esterno, come una sorta di flangia ricurva. Le guarnizioni erano in genere di semplice stoppa o di cuoio, questo causava una maggiore difficoltà nell'aprire o chiudere il sistema. Nelle giunzioni non esistevano filettature, nonostante i romani n'erano a conoscenza. L'installazione si otteneva introducendo le bocche del rubinetto dentro il manicotto dei tubi e saldando in giro una fascia abbondante di piombo che assicurava la tenuta.
Aperto dal 1 aprile al 30 novembre, da venerdì a domenica dalle 15:00 alle 18:00
Per informazioni: 0323.89622
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